Le Cascine - Sannazzaro de' Burgondi

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Le Cascine
La Cascina
La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di grande interesse, ma a tutt'oggi scarsamente descritto e valutato nella sua importanza, rappresenta l'emblema di una civiltà, di un'architettura, di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi. Ha rappresentato, nella nostra civiltà contadina, un piccolo mondo a sé stante, all'interno del quale pulsava una vita intensa, fatta di fatica e condivisione, di umanità e semplicità.
L'organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale. Sono ancora parecchie le cascine presenti in Lomellina, che nella loro attuale configurazione sono il prodotto di lunghe mutazioni economico/sociali e di svariate forme di connubio tra uomo e territorio che si sono succedute nei secoli dando origine a tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, dell'ambiente in cui l'uomo ha operato e opera, dell'uso e della gestione del suolo che caratterizzano l'economia di una zona.
La cascina fin dall'origine è un microcosmo ben delimitato, posta generalmente nel perimetro della tenuta agricola, recintato da mura, portici, siepi e staccionate, chiuso alla sera mezz'ora dopo il tramonto e riaperto al mattino al sorgere del sole. Circondata da campi coltivati e da boschi collegati tra loro da stradine e rogge, la cascina era un'oasi di tranquillità. Qui tutto era finalizzato alla coltivazione dei prodotti agricoli e all'allevamento del bestiame, beni fondamentali alla vita dell'uomo, che richiedevano un lavoro ininterrotto.
Il ciclo produttivo delle piante erbacee, cereali, leguminose, ha scandito da sempre la vita di una cascina e di tutto il mondo che attorno ad essa ruotava. Basta una passeggiata per le strade ed i sentieri della campagna lombarda per rivivere emozioni e sentimenti legati a quella cultura, dove tutto dipendeva dal tempo, dal caldo e dal freddo, dal vento e dall'acqua. In un mondo dove il raccolto rappresentava l'unico mezzo di sostentamento per gli uomini e gli animali delle nostre cascine.
L'autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni di degrado molto avanzato.
La cascina ha normalmente una struttura "a corte chiusa", quadrilatera; l'ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è normalmente occupato dall'aia, dapprima costruita in terra battuta, poi realizzata con mattoni e più tardi in cemento. La "corte" viene spesso recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per scoraggiare il piccolo furto campestre. Tutti gli edifici avevano un proprio ruolo nel complesso dell'attività aziendale. Nella corte ideale si possono distinguere differenti tipologie costruttive che nel loro insieme costituiscono un "unicum" di efficienza ed armonia.
La casa padronale
La casa padronale è l'edificio più importante della cascina. Spesso si tratta di una costruzione "importante" che fino alla fine del 1400 era a base quadrata con enormi muri perimetrali. Alla base del caseggiato, detto anche torrione, torrazzo, torretta, torrino, c'erano le cantine seminterrate, molto fresche, per la conservazione dei cibi, dei salami, del vino e per la maturazione dei formaggi. La casa padronale nei secoli successivi ebbe meno l'aspetto di casa-forte e più di abitazione, alta tre o quattro piani, con scale interne, finestre piccole con inferriate, soffitti robusti in legno per lo stoccaggio dei cereali e la loro conservazione. Nel settecento la casa padronale aveva assunto la veste di casa di campagna per i mesi estivi. Si differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili, oltre che per imponenza edile, anche per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al granaio.
Le case dei salariati
Le abitazioni dei salariati erano più basse rispetto alla casa padronale, tutte uguali e comprese in un unico corpo di fabbrica, con spazi identici; erano il più delle volte costituite da muri umidi e mal cementati, con pavimenti coperti da mattoni o mattonelle: Il camino era ricavato interamente, o quasi, nello spessore del muro; attorno ad esso, importante fonte di calore, la famiglia prendeva cibo, compiva lavori domestici e trascorreva le ore diurne e serali. Il mobilio era scarno: al piano terreno normalmente un tavolo (taùl), qualche sedia di legno o impagliata (cadréi ad legn o ad lisca), una credenza (cardénsa) e una cassapanca (baül); al piano superiore, raggiungibile con una scala interna, un comò (cumò) per la biancheria, un guardaroba per vestiti (armuàl), il letto di ferro (litéra), due comodini (cifön), il lavabo in ferro. Le finestre erano piccole e non avevano vetri e inferriate. La scala, il solaio e il sottotetto erano in legno, e di notte era possibile vedere il cielo attraverso le fessure delle assi e le tegole sconnesse. I servizi igienici erano nell'orto, l'acqua si attingeva al pozzo comune, e comune era il forno messo a disposizione dal padrone affinché tutte le famiglie potessero cuocere il pane una volta alla settimana.
I lavoratori "stagionali", come le mondine e i tagliariso, abitavano in stanze comuni, divisi per sesso, ed avevano un refettorio anche comune.
Le stalle
Il fronte delle stalle occupa generalmente metà del perimetro edificato e sopra di esse si allineano i fienili, protetti dalle intemperie con caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva destinato anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la il laboratorio del "casaro", che provvedeva alla lavorazione del latte e alla produzione dei formaggi, che comunque non commercializzava. Accanto, vi trovavano posto le anguste porcilaie, consumatrici degli scarti della lavorazione del latte, ed i pollai.
Tutti i prodotti della cascina venivano venduti dal proprietario o dall'affittuario i quali spesso possedevano una bottega in città per la vendita diretta al pubblico dei prodotti della cascina.
I portici
Sorretti da enormi capriate, i portici ospitavano gli attrezzi e le macchine agricole e carri in grande quantità, ma servivano anche da deposito per la paglia, per la legna, e per i foraggi.
L'aia
L'aia era una parte importantissima all'interno della costruzione. Posta in posizione centrale rispetto agli edifici, in zona ben soleggiata e riparata dal vento, l'aia era perfettamente livellata ed era utilizzata per l'essiccazione dei cereali e dei foraggi. Nel periodo estivo era il luogo più frequentato. Sull'aia ci si trovava ancora insieme, uomini, donne e ragazzi, anche fino a notte fonda, per la sgranatura dei legumi e per la spannocchiatura del granoturco, che avveniva a fine settembre.
Sull'aia inoltre si svolgevano le feste: ci si sposava, si festeggiavano le sagre, si ballava. L'aia è rimasto un luogo mitico, nell'immaginario collettivo dei nostri paesi viene spesso citata come un'isola felice. A lato dell'aia si disponeva la concimaia.
La chiesetta
Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro.
I personaggi della cascina
Fra le figure più significative di coloro che animavano la cascina troviamo il fattore (fatùr), responsabile dell'azienda agricola, il manzolaio (mansulè), che provvedeva ai lavori inerenti la cura del bestiame giovane (manze e manzette), il famiglio (famei), che gestiva il bestiame da latte, il bifolco (bùrch), destinato al governo dei buoi, il cavallante (cavalant), addetto alla guida dei cavalli da tiro, i braccianti incaricati del lavoro nei campi ed in certi periodi dell'anno le mondariso (mundìn), che avevano il compito di estirpare le piante nocive dalle coltivazioni di riso.
C'era fra gli abitanti della cascina un forte senso di solidarietà, di adesione al lavoro in comune, di partecipazione alla vita di gruppo
Sapori di un tempo antico...
Era consuetudine, e quasi un rito, prestare la propria collaborazione in occasione della macellazione del maiale, che avveniva normalmente nei mesi di dicembre o gennaio; ed era una festa collettiva prendere parte alla sera, con parenti ed amici, alla cena, a base esclusivamente di carne suina.
E nei mesi invernali, a lavoro fermo, era piacevole intrattenersi nel tiepido calore delle stalle a chiacchierare, a pregare o ad ascoltare racconti.
Le arti ed i mestieri in cascina
Quando oggigiorno si entra in una cascina ci si chiede come il mondo moderno abbia potuto cancellare in pochi decenni le tracce di una civiltà millenaria. Una civiltà che sopravvive ormai nei ricordi di qualche persona anziana o di giovani ostinati che non si rassegnano alla sua scomparsa. Solo cinquant'anni fa si potevano vedere nelle campagne lombarde lunghe file di donne curve nelle risaie, immerse nell'acqua fino alle ginocchia, sotto il sole per otto lunghe ore, mentre gli uomini lavoravano nei campi (con cavalli e buoi) dal mattino presto fino al tramonto perché la famiglia avesse una vita più confortevole. Ma accanto alle figure dei "contadini", all'interno di quei microcosmi si muovevano altri personaggi altrettanto instancabili ed impegnati: il camparo (che si occupava della rete irrigua), il ciabattino, il falegname, lo spazzacamino, il fabbro, l'arrotino, il muratore, il casaro.
Dopo la seconda guerra mondiale, con la meccanizzazione del lavoro, nelle campagne è iniziato il declino della cascina. Oggi molte sembrano fantasmi di un passato lontanissimo, ma alcune realtà resistono all'ingiuria del tempo e all'indifferenza della civiltà industriale. E' verso queste unità che ci indirizziamo per riscoprire ciò che rimane delle nostre radici comuni.
In quelle radici che rappresentano inizi comuni ed ancor diffusi, di mestieri che affondano le loro origini in epoche remote. Nelle corti di Lombardia, tra le principali figure che spiccano all'interno di una ben sperimentata organizzazione, possono essere evidenziati questi "artisti minori", ma il cui apporto fu fondamentale per il progresso agricolo della regione.
Il casaro
Il caseificio era il luogo dove il frutto della natura e del lavoro veniva valorizzato in un prodotto atto ad essere collocato sul mercato per il profitto dell'imprenditore e per quel poco di reddito che finiva come salario nelle tasche dei lavoratori.
Tra fumo ed umidità, tra "piate" (grossi recipienti a larghe tese) e "spanarole" (piatti di rame o di legno per raccogliere la panna), tra "sangule" (zangole per il burro) e "tassel" (secchielli per assaggiare il formaggio) lavoravano gli uomini dei caseificio guidati dal "cacè", detto anche "cap cacè".
L'importanza del suo lavoro e delle sue responsabilità gli davano una posizione di particolare prestigio e rispetto tra tutti i dipendenti dell'azienda. Intanto normalmente abitava o presso il caseificio o in una casa vicina alla casa padronale, comunque in una posizione ben distinta dalle altre abitazioni.
Il mungitore
Sotto la guida del capostalla le bovine da latte erano accudite dai mungitori. Il salariato che svolgeva questa mansione era chiamato con nomi diversi secondo le zone nell'area della cascina: bergamino ("bergamin"), famiglio ("famei"). Se non era un salariato fisso ma aveva un rapporto saltuario, "volante", veniva chiamato "famei de fagot", per via del fagottello che si portava sempre dietro attaccato alla canna della bicicletta. Quel fagottello era tutta la sua casa, perché difficilmente chi faceva quel lavoro era sposato. In questa sua vita randagia alternava momenti di sgobbate molto intense, che duravano quelle quattro, cinque settimane in cui lavorava in una determinata cascina, con qualche giorno di "libertà", e di "alzate di gomito".
Il porcaro
Può sembrare curioso che un posto di lavoro come la "cacèra", così importante, avesse vicinissimo il porcile, e può sembrare ancor più curioso che il "purchè" (porcaro) lavorasse talvolta nel caseificio. Il fatto è che, dato che i maiali erano i consumatori degli scarti della produzione del formaggio, il "cap cacà" era anche responsabile della porcilaia. dopo di lui veniva il "purchè" aiutato di solito da un ragazzotto, il "nimalàt".
Il "purchè" era quello che lavorava sempre con i maiali. Le sue attenzioni erano dedicate in particolare alle scrofe ed ai lattonzoli, alla riproduzione ed allo svezzamento. Dopo queste fasi delicate seguiva lo sviluppo dei suini ripartendoli nei vari "stabiol" (baste) a seconda dell'età e della grossezza.
Il falegname
In cascina il falegname veniva chiamato "marengòn" o "lignamè". Il suo compito era di metter mano a tutto ciò che era di legno, agli attrezzi da lavoro, in particolare fabbricava i carri. Molti dei suoi lavori erano in stretto collegamento con il fabbro. In cascina aveva un suo posto dove lavorare, e dove tenere il suo bancone, la pialla, la sega, il martello, i chiodi ma, difficilmente, il falegname viveva in cascina; era una figura un po' esterna all'azienda, forse un po' più libera.
Il fabbro ferraio
In ogni cascina di una certa dimensione vi era la bottega del fabbro ferraio (al frè). Spesso era collocata in un luogo di congiungimento tra la strada comunale o provinciale e l'ingresso nell'azienda. Al suo esterno vi erano esposti i vari arnesi simbolo dell'attività del fabbro. All'interno c'era un piccolo forno con una rotella a mano che faceva aria sul fuoco, l'incudine, i martelli, i ferri da cavallo, i chiodi e gli altri arnesi. Il fabbro aveva il compito di mettere i ferri agli zoccoli dei cavalli così che la presa della bestia sulla strada sterrata e sul selciato fosse il più sostenuta possibile; oltre a questo sistemava gli aratri, aggiustava i primi "volta fieno", le lame per le prime macchine tagliaerba, ecc...
Il mugnaio
Il mugnaio ("murnè") non era un dipendente della cascina, ma svolgeva un tipo di lavoro che lo metteva in stretto contatto con questa. Tranne che nelle grandi aziende, che provvedevano direttamente alla macinazione, il mugnaio serviva tutti gli agricoltori e le famiglie dei salariati; passava con il suo carretto ogni due o tre giorni per le case dei salariati a prelevare il sacco di grano da macinare o per consegnare la farina o il riso già lavorati al mulino. Per sé tratteneva la percentuale del macinato che gli spettava per la macinatura fatta.
La sua attività richiedeva un insieme di conoscenze tecniche che coinvolgevano l'idraulica, la meccanica e la falegnameria, un patrimonio di esperienza e di tecnica di indiscusso valore. Il mugnaio non godeva di un particolare prestigio nell'ambito della scala sociale, molto probabilmente per la fama che lo accompagnava: infatti era spesso sospettato di trattenere più della quota fissata per la macinazione.
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